13 – 14 agosto 1849
Tutta la giornata è passata nella Casa dei fratelli Cherubini. Verso sera avviene che Garibaldi ascolti, non visto, alcuni discorsi di operai agricoli raccolti a cena in una camera vicina. Parlano di Lui e del ritrovamento del cadavere di Anita, dissotterrata dai cani.
Garibaldi fuori di sé spalanca la porta della camera; il Biancani si slancia per trattenerlo, gli impedisce di parlare e lo rinchiude nello stanzino anzidetto, poi lo calma con pietose bugie. Non meno difficile riesce poi al Biancani di giustificare agli operai la presenza di quello sconosciuto. Così il drammatico avvenimento non ha altro seguito.
Martedì 14 Agosto – Garibaldi a Forlì per superare l’Appennino
Verso sera giunge in biroccino Antonio Plazzi che, con gli altri patrioti di Ravenna, ha già stabilite le intese per una «trafila» forlivese, destinata a portare i profughi oltre il confine col Granducato di Toscana.
Alle ore 21 lasciano la casa con due biroccini guidati dal Biancani e dal Plazzi e si avviano verso Ghibullo, contando sopra il rallentamento di vigilanza dovuto alla tradizionale festa serale ravennate nella vigilia dell’ Assunzione.
Percorrono così l’argine sinistro dei Fiumi Uniti che attraversano sul «cavedone», Giuseppe Garibaldi l’argine destro a monte, la strada Marabina, la Romea Nuova; attraversano il fiume al Ponte Nuovo, percorrono l’argine sinistro a monte e giunti al Ponte delle Tavelle – oggi Ponte Asse – s’incamminano verso Forlì per la strada carrozzabile Ravegnana fino a Ghibullo, dove sta in vedetta Pietro Ortolani.
Intanto il Savini – «Jufina» – coll’aiuto dell’oste di Coccolia, Ermenegildo Focaccia, distrae con copiose bevute di sangiovese e canina i gendarmi del posto di Coccolia trattenendoli nell’osteria.
Così condotti sul biroccino di Antonio Plazzi il cammino può proseguire fino al luogo di convegno stabilito al Cimitero di Forlì, distante un chilometro e mezzo dalla città, dove la comitiva giunge passata la mezzanotte.
La strada percorsa è di circa chilometri 31.
Al Cimitero di Forlì (26) – contrariamente al disposto – non si trova nessuno.
Il Plazzi non si perde d’animo e, nascosti Garibaldi e “Leggero” in un campo di granturco presso la Chiesa dei Cappuccini (27) poco oltre il Cimitero, entra in Forlì approfittando della rallentata sorveglianza dei gabellieri per un incendio scoppiato alla «locanda della Posta» che li tiene occupati e distratti.
Trova finalmente Carlo Capaccini che aveva preordinato l’appuntamento al Cimitero, ma che, non potendo muoversi da casa essendo precettato, stava in ansia per mancanza di notizie. Questi fa chiamare Pio Cicognani che col Plazzi si mette alla ricerca di un asilo per Garibaldi e Leggero.
Intanto la notizia delle fucilazioni di Cà Tiepolo ha già prodotti i suoi effetti e soltanto Tommaso Gori, proprietario di una fornace in Borgo San Pietro (28) , acconsente ad ospitare i profughi politici, «purchè non si tratti di Garibaldi!».
Cicognani giura che si tratta di due lombardi disertori dell’esercito austriaco, e così ottiene di condurre Garibaldi e “Leggero” nella casa del Gori, verso le 4,30 della mattina. Antonio Plazzi, compiuta ormai la sua missione, fa ritorno a Ravenna.
***
Qui finisce la trafila in territorio ravennate, meravigliosa per ardimento, sagacia e segretezza; finisce così il campo assegnato a queste note.
Giuseppe Garibaldi – Museo del Risorgimento di Bologna Quel che avvenne poi può essere brevemente riassunto:
Dalle prime ore del 15 Agosto alla sera del 2 Settembre, quando Garibaldi salperà da Cala Martina per la terra ligure, ove c’è la salvezza, sorgeranno malintesi, incapacità, forse anche delle paure, ma sorgeranno ancora degli eroi: taluni avranno nomignoli strani: Gnarata, Stanga, Periten, Masòti, Zirazza. Altri si chiameranno Bassetti, Ravaioli, Gualdi, Francia, Sequi, Azzarini.
Su tutti sovrasta la figura di un prete; don Giovanni Verità, che assiste per tre giorni i profughi e li accompagna fra le impervie forre della collina tosco-romagnola, mostrando quanto sia stata inutile ed ingiusta la fiera intimazione del popolano che – dopo averlo avvisato dell’arrivo prossimo di Garibaldi e Leggero – osservatagli con diffidenza la veste e fissandolo negli occhi, aveva detto quasi minaccioso: Vui, prit! lavora ben! …
L ‘abnegazione di tanti patrioti trionfa sulle truppe austriache che marciano su per l’ Appennino a chiuderne i varchi e impedire lo sconfinamento dei due «banditi» dal territorio pontificio; trionfa sugli sbirri del Granducato stimolati da ricche taglie se non dall’odio; trionfa la nobiltà e l’eroismo di chi,a sprezzo del pericolo, salvando Garibaldi, salvava l’Italia.
Così i nostri profughi passando per Castrocaro, Dovadola, Montacuto, Monte del Trebbio, Modigliana, Palazzuolo, le Filigare, Prato, Poggibonsi, Colle Val d’Elsa, Volterra, Pomarancio e San Dalmazio – ove sostano quattro giorni, ospiti del Dott. Camillo Serafini e di Angelo Guelfi – eppoi per Scarlino attraverso la boscosa Maremma, accompagnati da cinque ardimentosi giovani, il 2 Settembre giungono alla piccola Cala Martina, dove li attendeva una barca con quattro uomini a bordo. Di là l’ Azzarini, accompagnato dal proprio padre e da un marinaio di Capoliveri, si imbarca nel golfo di Scarlino con Garibaldi e “Leggero” dirigendosi all’isola d’Elba.
Garibaldi e Leggero salgono in silenzio. Da terra cinque giovani estatici li contemplano allontanarsi lentamente. Ancora un saluto alla voce, eppoi la prodigiosa avventura si chiude con un grido solo dal mare e da terra: Viva l’Italia! …
***
A Capo Castello l’ Azzarini sbarca il padre ed il marinaio, ed avuta da quel Deputato di Sanità, il visto alla patente, la sera fa vela pel Golfo della Spezia.
All’indomani a mezzogiorno, l’imbarcazione è in vista di Livorno e il giorno dopogiunge felicemente a Porto Venere, ove i profughi prendono terra.
Garibaldi era salvo, ma non tranquillo ancora. Recatosi con vettura a Chiavari, appena l’Intendente di quella provincia, Conte di Cosilla, sa del suo arrivo, corre a lui, lo prega di non dar molestia alla città, e, per tranquillizzarsi, previo ordine del La Marmora, R. Commissario a Genova, lo fa tradurre, sotto scorta dei carabinieri, in questa città ove arriva la sera del 7 Settembre.
Il La Marmora lo tiene in arresto, guardato a vista nel Palazzo Ducale. La Camera Subalpina protesta contro l’arresto arbitrario e libera Garibaldi .
Datato da Genova il 7 Settembre, don Giovanni Verità riceve questo da Garibaldi telegramma:
«M’incarica il nostro Lorenzo farvi avvertito, che le due balle di seta sono giunte a salvamento».