Garibaldi a Sant’Alberto
La Casa fratelli Matteucci non ha uscita posteriore; è prudente cambiare rifugio. Verso le ore tre della domenica Garibaldi con “Leggero” sono fatti passare in altra casa poco lontana (m. 300) di Antonio Moreschi), situata presso la Piazza, e con una uscita sui campi.
Sta di guardia Domenico Lorenzetti. Intanto nella piazza si radunano, arrivati da diverse direzioni, duecento austriaci a piedi e a cavallo; Garibaldi può scorgerli da una finestra del suo nuovo rifugio. Trattenersi nel paese non è più prudente: si teme che qualche voce sia trapelata. Più tardi, maturati gli eventi, fu detto che il cappellano, Don Antonio Pieroni, avesse informato il comandante austriaco della presenza in loco di Garibaldi e che il priore – Don Marco Gallamini – avesse negato, sotto sua responsabilità – la verità della informazione.
Dai reperti rintracciati nel Kiegsarchiv di Vienna dallo scrittore Umberto Beseghi e riportati nel citato suo libro, edito dal Tazzari di Bologna, risulta invece che il comandante austriaco riferì al proprio comando che «nella località di S. Alberto nessuno è al corrente dei fuggiaschi; tutti anzi ritengono che siano dispersi dalla parte di Comacchio».
Un anonimo però si fece vivo, con due missive, alla polizia pontificia, la quale però non volle o non ritenne di dare peso alle informazioni, tanto che l’anonimo medesimo, indignato, scrisse ancora segnalando i componenti della «masnada» di S. Alberto nelle persone di: Antonio Moreschi (capo), Pietro Fabbri, Dott. Nannini, Bunazza, Cirillo Mondadori, Francesco Franzini, Lorenzo Matteucci, Antonio Bighetti, il fabbro «Fabbrino», Ercole Saldini (Dighèn) , Minetto, Ghiselli, Ferdinando Matteucci, Lorenzo Faggioli e Clemente Pascoli, fattore del Marchese Guiccioli. (Il Pascoli è della famiglia del poeta Giovanni) .
La «masnada» santalbertese, che era stata bene individuata dall’anonimo, ma non perseguita dalla Polizia pontificia, intanto agisce con tempestività e coraggio: alle 7 fa partire Garibaldi e «Leggero» con la guida Ercole Saldini detto «Dighèn»; conduce i profughi all’argine destro del Reno dove sono attesi da Lorenzo Faggioli (Nason), che traghetta i tre sull’argine sinistro (qui «Leggero» mette al Faggioli il cappello del Generale ed al Generale quello di Faggioli).
La marcia sull’argine sinistro si svolge per circa 3 Km, con circospezione fino alla casa di guardia delle valli (Ca’ Bianca) (16) .Prosegue la marcia fino alla Scorticata (17), ove il colono Luigi Vicari dà provviste di vino. Alle 9,30 la moglie del Vicari, Maria Angela Guerrini, traghetta i quattro di nuovo sulla destra del fiume, i quali poi proseguono verso la boscaglia.
Nason torna a S. Alberto per fare provvista di viveri ed intanto i tre riposano in una buca di pino sradicato. La marcia è circospetta al massimo, poichè Dighèn, nella notte, ha visto nella vicina via Romea, un convoglio di austriaci che trasportava gli undici Garibaldini che sono stati catturati a Comacchio. (*) Tornato il Faggioli coi viveri, Garibaldi lo fa partire di nuovo verso Mandriole alla ricerca di Pietro Fabbri.
Prosegue poi la marcia dei fuggiaschi fra paludi, sterpi e rovi, tormentata da nugoli di zanzare, con la guida esperta di Dighèn, fino alla macchia del Forte Michelino (18) , a 6 Km. dalla Scorticata.
Ripresa la via verso le ore 20 e percorsi altri 5 Km. la marcia si arresta al casotto da pesca del Taglio (19) , fino al mattino del seguente giorno, sempre vigilati dal Faggioli e dal Saldini.
(*) Durante la notte il Saldini sentì un gran movimento di gente sulla strada Romea; si avvicinò cauto e vide un convoglio di tedeschi che scortavano una carrozza chiusa e alcune biroccie. Era il trasporto di undici garibaldini, catturati dopo lo sbarco dai gendarmi pontifici guidati da quel vice Brigadiere Sereni al quale era stata risparmiata la vita a Cesenatico per intervento di Ugo Bassi. E Padre Ugo Bassi è fra gli undici garibaldini catturati.