Lunedì 6 agosto 1849
Garibaldi trova rifugio nel capanno del Pontaccio
La mattina arriva il Fabbri accompagnato da Gaetano Montanari, detto Sumaren, che dovrà oramai sostituire Dighèn non pratico dei nuovi difficili luoghi da attraversarsi dai profughi. Il Capanno ove si trovano non è però ritenuto sicuro. Così impadronendosi di un battello attraversano il Taglio si addentrano nel folto dello Staggio del Bardello, ove Fabbri espone a Garibaldi il piano combinato dai patrioti di Ravenna per condurlo a salvamento. Indi il Fabbri col Faggioli se ne vanno a Sant’Alberto con promessa del Fabbri di ritornare nel pomeriggio. Così avviene; poi verso le ore 16 si congeda nuovamente dai profughi insieme a Dighèn il quale, con grande commozione, riceve da Garibaldi il regalo di un mantello che conserverà come una reliquia (*) .
Sumaren, secondo le istruzioni ricevute, conduce nel proprio battello i profughi all’argine del canale Baiona, della pialassa omonima; ma, per imperfetta intelligenza non trova i patrioti ravennati che avrebbero dovuto rimanere in attesa di Garibaldi.
Capanno dopo l’incendio del 7 dicembre 1911Allora prosegue fino presso allo sbocco della Baiona nel Canale Corsini. Celati i profughi fra le «grasselle» della pialassa, Sumaren si avvia solo verso Porto Corsini ed incontra, a caso, un suo conoscente detto «Bòliga» (Pietro Sarti) e con lui si accorda di rifugiare i profughi al Capanno di caccia detto del Pontaccio (20) fra pineta e valle. All’uopo il Bòliga cerca e trova alla Fabbrica Vecchia (Portocorsini) il cugino Francesco Sarti e con lui, col suo battello, conduce i profughi al Capanno ove arrivano alle 19,30. Forzata la porta entrano nel Capanno. Giuseppe Garibaldi, fisso al proposito di accorrere alla difesa di Venezia, invia immediatamente i due cugini Sarti alla ricerca di un natante per raggiungere la meta.
Il Capanno del Pontaccio, diviene poi il «Capanno Garibaldi» perché offrì sosta e riposo al Generale e consentì la prosecuzione della «Trafila» ravennate, che portò al felice salvamento del Generale.
Anni dopo, al fine di assicurare la conservazione del Capanno, il sodalizio della «Unione democratica» ravennate, con scrittura notarile del 20-8-1867, firmata dai suoi dirigenti e delegati Carlo Missiroli, Gaetano Savini ed Antonio Rambaldi, ne acquistò la proprietà. Discioltosi poi il Sodalizio dell’Unione nel 1874, alcuni soci di essa, per iniziativa di Primo Uccellini nel 1879 la «Società Conservatrice del Capanno Garibaldi», il cui primo Statuto fu approvato il 21 ottobre 1882.
Ezio Garibaldi nipote del generale nel 1932, visita il Capanno Garibaldi.In esso si legge che la Società si compone di 52 cittadini il cui numero non potrà aumentarsi, lo scopo fu allora, ed è tuttora, quello di «mantenere inalienabili i suoi diritti sul medesimo Capanno Garibaldi e curarne la scrupolosa conservazione, affinché sia tramandato ai posteri come sacro monumento di affetto e di ammaestramento».
(*) Si conserva ora al Museo Ravennate.